Giorno 31

Oggi era il giorno che ci si riposa dalla scrittura (lo dicevo di là, che adesso abbiamo anche noi il giorno in cui ci riposiamo come il Divino Paranoico). Che quando ci si riposa dalla scrittura non si scrive, giusto?

Sbagliato. Io scrivo lo stesso. Oggi avevo delle domande di un’intervista a cui rispondere. Sì, perché stiamo facendo una cosa che se va bene a certa gente che conosco fa tornare su pure il pranzo di natale 2000. Non siate curiosi che tanto per ora non vi dico niente.

Solo che io ogni volta che mi fanno delle domande su cose che conosco bene mi dimentico la sintesi. E insomma, ho scritto il tema di maturità. Domani rileggo un po’, che sennò il poveraccio che si legge le mie risposte diventa scemo.

Poi oggi pare che si sono svegliati tutti gli annunci che non ho trovato nell’ultima settimana, sarà che domani c’è un ponte e le agenzie stanno chiuse per due giorni e allora si son portate avanti col lavoro? No, perché quattro pagine di annunci di lavoro su Infojob, a Roma, secondo me non se le ricordano nemmeno quelli del Miracolo Economico.

E allora spulcia annunci, fai questo, fai quello, mi stava pure venendo il mal di mare, che è la giornata buona. Piove che Dio la manda. Secondo me di questo passo tocca mettersi lo scafandro per uscire di casa. E pure in casa, in effetti. Abbiamo messo il piumone. Non  quello invernale. Quello leggero. Però tiene caldo (l’ho sperimentato. Sì, le giornate di pioggia  mi impigriscono e quando sono disoccupata e non devo andare da nessuna parte finisce che a casa mi metto sotto le coperte e scrivo cose. Pure cavolate, van bene lo stesso. Invece di rileggere le fesserie che scrivo nel romanzo, scrivo altre cavolate).

Che poi non è vero che non sono uscita. Sono uscita sì, stamattina. Mi son trovata in una discussione sugli archetipi. oltretutto. E adesso mi sa che mi prendo Il viaggio dell’Eroe, e me lo rileggo. Insieme a L’eroe dai mille volti. Non lo dovrei dire ma l’ho trovato su un torrent. Oh, in giro non si trova, che dovevo fare?

E insomma, qui mi tira per la giacchetta, la scrittura. Basta che mi volto e me la ritrovo tra i piedi. Mi manca che mi viene a suonare alla porta come i testimoni di Geova e sto a posto.

Poi mi è venuta in mente una cosa. Se ero a Milano oggi mi andavo a comprare il pane dei morti. Però sono a Roma, e il pane dei morti non ce l’hanno. La trovo una barbarie. Io poi non lo sapevo che il pane dei morti è un’usanza milanese. Credevo che lo avessero tutti. I morti li hanno tutti, no? Quindi anche il pane.

Invece no.

E insomma, che aspetta Milano a esportare il pane dei morti al posto dell’inutile panettone con i canditi e le uvette? O al posto di certa gentaglia milanese perfettamente inutile e dannosa per l’immagine della città, tipo quel tizio che vive di fianco a Palazzo Venezia, in via del Plebiscito. Non sarebbe meglio?  Sì, magari il tizio non sarebbe d’accordo, ma non è che questa cosa ci provochi scompensi.

Scommetto che se esportassimo pane dei morti invece di coglioni o loschi figuri, noi milanesi rimarremmo più simpatici al resto d’Italia. Potremmo fare una prova, tante volte funziona…

Ho delirato abbastanza. Scusate, è la pioggia. E la carenza di zuccheri. Per farmi perdonare vi faccio un regalo. Andate sullo Starbooks e scaricate il racconto di Sam Stoner. L’abbiamo pubblicato stamattina. Già che ci siete scaricate anche gli altri (c’è pure un po’ di robaccia mia, lì in mezzo, quindi maneggiate piano che potreste rimanere offesi). Tanto è tutto gratis. Va bene per chi è disoccupato, no?

Che adesso mi viene in mente: devo leggere un po’ di racconti per il prossimo concorso. Ma non era il mio giorno di riposo, oggi?

 

 

Giorno 30

(avevo cominciato il 30, ma come in tutti i diari che si rispettino poi è arrivato il giorno dopo e io non avevo ancora finito il post. E pazienza, oggi ne leggerete due)

 

Tra poco dovrò cominciare a tenere il conto seriamente, che qui dal  giorno 32 non posso più basarmi sul calendario… Sarà teribbile! mi sbaglierò di certo! (ma tanto voi mi corigerete, ci conto).

Neanche oggi ho trovato lavoro, eh, state pure tranquilli, ché qui andrà a finire che ci terremo compagnia ad libitum. Siete autorizzati a toccare tutto quello che trovate in giro.

È stata quasi una giornata di calma piatta, dal punto di vista della ricerca di lavoro. , ho trovato l’ennesimo motore di ricerca, e stavolta mi sono messa a inserire tutte le mie esperienze lavorative a partire dal 1999 in poi (no, in effetti ho saltato quelle con i bambini, sa solo il Divino Paranoico perché mi ostino a non inserire un sacco di roba nel curriculum vitae. Tutta quella roba che, intendiamoci, la gente non ha mai fatto in vita sua e che probabilmente smanierebbe per dire di aver fatto. A parte i lavori di baby sitting e assistenza ai bambini delle materne e delle elementari, io ho fatto pure l’animatrice all’oratorio. Per anni. Cantavo addirittura nel coro delle bambine. E poi ho fatto volontariato con i disabili dell’università. E ho fatto pure la volontaria per il Commercio Equo e Solidale, molto tempo prima che diventasse un grande buzinnezz. Sì, son di quelle così anarchiche che appena una roba comincia a profilarsi remunerativa economicamente, scappa a gambe levate… Avrò qualche problema nei cromosomi, non so. Domani ne parlo con l’analista e vediamo cosa mi dice).

Ecco, mi sono un po’ spaventata. Alla faccia del choosy. Ho fatto un sacco di roba. E a essere onesti, ho eliminato i lavori di un mese, quelli fatti mentre cercavi altro da cui scappavi, magari a gambe levate. O quelli che ti trovavano gli amici, in estate, mentre studiavi. Per dire.

Un anno ho lavorato alla redazione di Borsa e Finanza, per raccogliere tutti i bilanci delle società quotate in borsa o che avevano titoli sul mercato o fondi di investimento. È stata la prima volta che ho usato un Mac nella mia vita, ma l’ho usato poco. Serviva proprio a poco, a dire il vero. Avevo un elenco di società, telefonavo e chiedevo il bilancio. Loro li mandavano per posta in redazione. Oppure andavo io a farmi una passeggiata in centro, perché stavano tutti in centro. Bello, eh. Ho scoperto strade del centro che nemmeno conoscevo.

Un altro anno mi han fatto fare una prova in cassa da Feltrinelli. Mica come adesso che ti fanno fare lo stage. Lì lavoravi 8 ore e ti pagavano. Con ritenuta d’acconto, chiaro. Però ti pagavano. A me han dato 90 mila lire. Al netto eran settantaquattro mila. Poi non mi hanno presa, vabbé, c’era la cassiera che mi faceva l’affiancamento che era stronza mica da ridere. Però è stato divertente. E io ho messo via i soldi per una quota di scuola di cinema.

Un altro anno ancora, avevo finito proprio la scuola di cinema, mi son trovata a fare una roba che non raccomando a nessuno. Dovevo cercare promoter. Sì, non mi sono sbagliata. Non facevo la promoter. Io le cercavo proprio. Il lavoro me l’aveva trovato un’amica conosciuta tramite E(sa)urisko.  C’era bisogno di gente che andava in tutta Italia nei supermercati, a 45 euro al giorno. Mi pare che fossero 45, perché se sto sbagliando erano 40. Io avevo il contratto a progetto. Prendevo 800 mila lire al mese. L’orario di lavoro erano 8 ore al giorno, ma 8 ore non le facevi mai. Te ne andavi dopo almeno 9 ore. A me facevano persino storie perché alle sette e mezzo me ne uscivo dall’ufficio, perché lì le altre uscivano alle 21. Son durata 4 settimane. Me ne sono andata io. Chiamatemi choosy, ma non si può lavorare con un capo che ha la filosofia del venditore nato e cerca di convincerti che tu sei perfetta per convincere la gente a lavorare per una miseria (altre società prendevano promoter a minimo 50 euro al giorno) e che un giorno ti dice senza peli sulla lingua che le persone al nord sono troppo esigenti, perché al sud lavorano anche a 30 euro senza fiatare.

Buona grazia se non lo riempi di calcio, il tuo capo. (poi adesso vado in giro a cercare annunci e trovo che la stessa società cerca promoter ovunque. Vien voglia di dire alla gente SCAPPATE!)

Poi che ho fatto? Ah, sì. Il customer satisfaction della Fiat. Per un mese pure lì. Sempre a progetto, sempre interviste. Con una donna che era meglio perderla che trovarla. Dovrei usarla per un personaggio sgradevole, in uno dei miei romanzi futuri.

A Roma ho lavorato all’Autogrill. Poi in un call center Fastweb. Una roba devastante.

Dopo ho scritto una sceneggiatura per una regista che era peggio del call center fastweb.

Il penuultimo lavoro del cavolo che ho trovato è stato alla Teleperformance. Lì son durata 12 giorni, ma aveva il fisso.

L’ultimo è stato alla B2win. Assistenza clienti carta più di La7, che non esiste più.  È stato il mio primo lavoro in assistenza telefonica.

Poi ci son state le sceneggiature, ma facciamo che ve le racconto in un altro momento.

Oggi va un po’ così, sono pure un po’ stanca. Perché in mezzo all’elenco piuttosto triste di quel che ho fatto ci sono pure i desideri non realizzati, le cose che una impara e non sa nemmeno se se ne farà qualcosa. Tipo il battere velocemente i pezzi sotto dettatura.

E mica è da tutte, eh.

Ora però si è fatta una certa. Sto cominciando anche a straparlare  e strascrivere. Infatti metto i punti alle frasi e mi mancano i pezzi.

Forse me ne vado a dormire. Auguro a tutti buona fortuna e buona  notte.

Giorno 29

Bentrovati a tutti i miei credo dieci lettori (è dura riguadagnarsi i lettori, con un nuovo blog in città. Ci avevo messo un sacco di tempo a raggiungere i 23, una cifra ragguardevole, già millantata da Alessandro Manzoni e da Giovannino Guareschi. Devo dire che con simili esempi 10 lettori possono bastare e avanzare).

La settimana è ricominciata, il lavoro non c’è ancora ma ci sono notizie abbastanza confortanti. Pare che il 6 novembre finalmente riusciremo ad avere la nostra agognata riunione pro vertenza sindacale, con il nostro sindacalista CGIL. O forse dovrei dire ex sindacalista…

Non ricordo se l’ho già raccontato, forse sì ma il neurone è quello che è (sono sempre una persona stagionata, e persino poco choosy, che non so cosa c’entri, ma ci sta sempre bene), ma abbondare è meglio di lesinare. Quindi ve lo riracconto.

Allora, dovete sapere che noi ex interinali del nostro posto di lavoro siamo stati in azienda per due anni con 6 rinnovi come interinali. Cosa che già sarebbe un po’ MEH. (come tutti sappiamo, gli interinali andrebbero utilizzati per periodi di picchi di lavoro o in fase di start up, e uno start up di quasi due anni suona in effetti un po’ strano).

Ma c’è di più. Perché nel frattempo sulla nostra stessa commessa sono approdati lavoratori della vecchia azienda fallita, che erano stati messi in mobilità, e per un accordo ottenuto dai sindacati, giustamente, hanno avuto una clausola di salvaguardia. Erano sulla commessa da 4 anni, ne conoscevano vita morte e miracoli, è il minimo che vengano riassorbiti al cambio di società.

Senonché questi colleghi sono stati assorbiti al terzo livello delle Telecomunicazioni. Mentre noi sfigati interinali, per lo stesso identico lavoro, eravamo assunti con il secondo livello.

E c’è di più. Tutti i colleghi passati d’ufficio sulla nostra commessa da altre commesse aziendali, o meglio, tutti quelli con contratto a tempo indeterminato, nonché tutti quelli passati da somministrati a indeterminati perché appetibili in quanto appartenenti a categorie che concedevano sgravi fiscali (mobilità, articolo 16, cose così… Han fatto eccezione giusto gli apprendisti), si sono ritrovati al terzo livello mentre noi abbiamo sempre avuto il secondo.

Ora. Pare che questa roba non vada benissimo. Io direi che fa schifo, questa roba, ma bisogna mantenere un linguaggio consono e sindacale.

Per cui noi su queste basi pensiamo di fare vertenza all’azienda. Oh, non è mica detto che vinciamo, eh. E di sicuro sarà una cosa lunga. Non è nemmeno detto che si riesca ad arrivare in fondo, perché in queste cose sai come cominci, ma non hai idea della loro durata, e da qui al momento in cui si chiude o c’è un nuovo step ti guardi bene in faccia e ti dici ‘ndo cazzo vado, mo’?’

Però, ecco, ci sono queste cose che probabilmente per la vecchia zia Elsy non sono contemplabili, perché mi pare che ragioni come i datori di lavoro italici, convinti che tu, quando lavori, non sei uno che firma un contratto e offre la sua prestazione in cambio di un compenso, ma devi ringraziare perché in fondo ti fanno lavorare. L’accontentarsi e il non essere choosy è figlio di questo atteggiamento per cui tu devi sempre e comunque ringraziare.

Ma io posso ringraziare qualcuno che mi fa un favore inaspettato, che esaudisce un mio desiderio, mica posso mettermi a ringraziare uno con cui ho stipulato un contratto in cui si stabilisce che in cambio di tot io darò tot. E soprattutto dopo che questa cosa è andata avanti per due anni consecutivi perché mi viene detto chiaramente che io sono lì NON perché il capo è buono e gentile, ma perché il mio lavoro effettivamente è utile all’azienda.

Se il mio lavoro utile all’azienda viene comunque sottopagato o sottovalutato, io mi incazzo. Altro che schizzinosa. Potrei diventare una jena. Che poi è pure una delle ultime soddisfazioni che mi restano, il rigurgito di dignità e l’idea che probabilmente farò giusto un po’ di solletico, alla mia vecchia azienda. Però quello  glielo faccio tutto. Finché si può. Finché siamo vivi e incazzati.

Che poi quando finisce l’incazzatura si rischia di mettersi sul serio a sedere e aspettare la prima cosa che capita.

E insomma, dopo quasi un mese di attesa abbiamo la prima cosa concreta sulla nostra vertenza. Una data e un incontro fissato con gli avvocati.  Sarà mia cura raccontare per filo e per segno il seguito.

Nel frattempo vi comunico che sabato ho avuto un po’ di voltastomaco, per un paio d’ore. Esattamente mentre quel nanetto che ormai somiglia a Renato Balestra andava minacciando velatamente di togliere la fiducia al governo se non trova il modo di ribaltare la sentenza che lo ha visto condannato. Poi in effetti bisogna dire che è un bello smacco. Per anni ha sostenuto di non essere mai stato giudicato colpevole. Adesso come fa? Gli han dato 4 anni di carcere e 3 di interdizione dai pubblici uffici. Potrebbe nuocere alla sua immagine più di quanto gli han nuociuto i leafting.

Che poi a sentire quella roba uno si chiede dove ha sbagliato. Già, perché se ci fosse uno qualunque di noi, a farneticare davanti ai giornalisti a proposito di accanimento giudiziario, sarebbe già sottoposto a un TSO (si ringrazia la maestra Rosy per il suggerimento).

Lui invece stava lì davanti alle telecamere e farneticava come se fosse la cosa più naturale del mondo sputare contro uno dei tre poteri dello Stato.  A meno che quello da cui trasmettevano la conferenza non fosse l’anticamera di un manicomio e il suo avvocato in realtà non fosse uno psichiatra, qualcosa non torna.

Insomma, non bastava la disoccupazione. Ci voleva anche il ritorno  (?) del caimano. Evidentemente le disgrazie non vengono mai sole.

Penso che con queste prospettive per il futuro uscirò di casa un po’ più spesso e me ne andrò a passeggiare per Roma. Fa bene passeggiare per Roma. Magari bisogna mettersi scarpe più comode delle Doctor Marteens il primo giorno di utilizzo stagionale (intendiamoci, dopo una settimana con quelle ai piedi ci fai pure un interrail camminandoci 15 ore al giorno. Il primo giorno, no), però, ecco, come attività salva coronarie non è male.

Vi lascio un’immagine abbastanza significativa del giro che ho fatto ieri in compagnia della sco(r)ciatrice e del relativo consorte. Significativa perché non avevo idea della sua esistenza, e invece pare che ce ne siano un po’ in tutti i ghetti d’Europa:

Stanno davanti a un palazzo di Via Arenula.

Oh, io per oggi ho finito. Mi resta da scrivere un po’, ma se ne parla dopo cena.

Voi state bene.

Giorno 26

L’ultima settimana è volata.  Oggi è già venerdì. Non ho capito molto bene dove siano finiti i giorni precedenti, non avevo ancora finito di fare delle cose, e siamo quasi a sabato.

Sul fronte degli annunci niente da segnalare. Sto sempre cercando, mantenendo la testa fuori dalla melma. Non è facile ma ce la possiamo fare. Ridendo e scherzando ho scoperto l’esistenza di un’agenzia interinale mai nemmeno intercettata in anni e anni di ricerche fruttuose o meno fruttuose (la maggior parte delle volte) di lavoro. Si chiama Generazione Vincente. E vi dirò, sono due giorni che entro nel sito e sono due giorni che tra una cosa e l’altra non riesco a inserire i dati nel database. Mi dà sempre un messaggio di errore. Toccherà andarci di persona.

Che poi se andate a leggere su Lavoratorio.it pare che se non vi presentate di persona nei posti dove cercano gente commettete un peccato mortale. A dire il vero se cercate lavoro e capitate su Lavoratorio.it dovete cominciare a genuflettervi sui ceci, perché se per caso non fate quello che consiglia il sito peccate di peccato mortale.

Insomma, non va bene il vostro curriculum, non va bene la vostra lettera di presentazione, non va bene niente di niente. E non potete nemmeno cercare lavoro su internet,  perché non è così che si cerca lavoro. E non potete nemmeno contraddirli, perché sennò vi insultano. E se siete persone disoccupate da un sacco di tempo e avete la vostra frustrazione a cui badare, tranquilli che troverete insulti per i vostri denti perché lì pare che siete sempre voi a sbagliare.

Ora, che i candidati alla ricerca di un lavoro non siano sempre le persone più accomodanti della terra, che ci siano in effetti persone troppo esigenti, che si debba essere capaci di interessare chicchessia, è una cosa assodata. Ne abbiamo visti decine, di candidati che non si capiva da dove uscissero (forse dalle patatine), durante i colloqui a cui abbiamo partecipato nelle nostre vite.

Magari noi siamo stati selezionati e loro no, e il nostro pensiero è stato ‘mi sembra il minimo’. E lo stesso sarà successo ad altri candidati che sono stati selezionati mentre noi non siamo stati mai ricontattati.  È il normale andamento delle cose.

Ma è un po’ irritante vedere i gestori di un sito nato con lo scopo di insegnare alla gente a sopravvivere agli annunci on line, a  scrivere curriculum vitae e  lettere di presentazione in modo corretto , che alla prima critica forse dettata da tempo speso inutilmente ad aspettare risposte rispondono con una mancanza totale di empatia nei confronti del disoccupato di turno.

Perché sarà vero che la gente si pone male, davanti alla ricerca di lavoro, ma si parla sempre e comunque di persone che non hanno uno straccio di lavoro e che hanno magari famiglie da mantenere.

È da un po’ che leggo questo andazzo, su quel sito, e ogni tanto risulta davvero fastidioso seguire il botta e risposta dei commenti. Sembra una semplice gara a stabilire che c’è uno più bravo degli altri, e in genere il più bravo è quello che scrive il blog.

Se è davvero così faticoso avere a che fare con la gente (e la gente che usa internet è faticosa, molto spesso analfabeta dei più elementari sistemi operativi e della netiquette), ma chi glielo fa fare, di scrivere post che comunque sia avranno un feedback positivo o negativo?

Insomma, è un po’ la stessa questione degli aspiranti scrittori, che scrivono una cosa e poi la fanno leggere in giro. Loro pensano, il più delle volte, che riceveranno esclusivamente complimenti perché sono convinti di essere dei fottuti geni della letteratura. Invece, guarda un po’, c’è sempre qualcuno che arriverà a fare una critica. Giusta? Sbagliata? Pelosa? Non importa. Il problema di fondo è che appena ti rivolgi a un pubblico devi sapere che non potrai piacere a tutti e che qualcuno sarà in disaccordo con te. E allora devi scegliere se comportarti da piccolo presuntuoso o se lasciar correre quelli che si comportano come troll.

Però la differenza sostanziale c’è, con un aspirante scrittore. L’aspirante scrittore fa male esclusivamente a sé stesso e alla sua scrittura,quando comincia a impuntarsi. Pure il blogger di blog non divulgativo, come dire generalista, se non accetta discussioni fa male a sé stesso. O bene, dipende sempre dai casi. Io penso di fare bene a non volere rompicoglioni a commentarmi e a contrassegnarli subito come spam non appena individuo una parola di troppo. Il blog è mio e nessuno mi paga per stare lì a discutere di aria fritta. E sul tempo di frittura della mia personale aria fritta decido io. Quando trovo che il fritto è cotto a sufficienza, non ho voglia di continuare il discorso.

Il problema è che la gente che si perita di insegnare a scrivere curricula a chi cerca lavoro, soprattutto in questo Paese, soprattutto in tempo di crisi economica, quando comincia a impermalirsi e a insultare gli utenti che riversano le loro frustrazioni su un blog non fa male solo a sé stessa. Viene meno al servizio che idealmente vorrebbe offrire. Che credibilità potrà mai avere uno che magari dice cose che hanno un senso, ma comincia a maltrattare quelli che non gli danno retta continuando a ripetere che sono loro che sbagliano tutto?

E insomma, non lo so se mi leggerò ancora i post di Lavoratorio.it, perché non c’è discussione serena, lì sopra. Io penso che qui siamo tutti un po’ in un mare di merda e che non ci si possa fare la guerra a vicenda,  men che meno sul modo corretto di compilare i curricula e le lettere di presentazione. E lì sono gli stessi gestori del sito che si preoccupano più di avere ragione che di evitare le discussioni sterili.

Credo di avere qualcosa di più serio da fare, che seguire discussioni di questo tipo. Per esempio cercare un lavoro. O un corso di formazione.

Poi non glielo dite, a quelli di Lavoratorio, ma io per trovare i lavori che ho trovato nella vita non ho mai seguito uno dei loro consigli eppure mi hanno sempre contattata per i colloqui, pure se non ho mai telefonato di persona alle agenzie o ai selezionatori… Mi è sempre bastato inviare curriculum e lettera di presentazione. Certo, ultimamente le cose sono peggiorate, di netto. Il periodo è devastante e di sicuro questa mania di cercare solo persone sotto i 29 anni per proporre l’apprendistato , perché pare che senza sgravi fiscali tu azienda non puoi proprio permetterti di andare avanti, non aiuta la gente stagionata come me.

Ma non mi aiuta nemmeno leggere litigi sul modo migliore di compilare un curriculum. E se ho bisogno di sentire le chiacchiere da bar vado al bar direttamente, non nei siti in cui si dovrebbe discutere seriamente di tecniche di ricerca di lavoro. Se uno dice una cazzata, hai la moderazione. Usala. Rendi internet un posto più pulito.

Insomma, credo sia chiaro che forse Lavoratorio non è il mio posto preferito sul web. Ed è un peccato perché all’inizio mi piaceva pure, leggere i loro post. Hanno un po’ svaccato.

Andiamo avanti. Sapete che oggi ho una buona notizia? L’INPS di Milanofiori ha chiuso e accolto la mia domanda di disoccupazione. Ci hanno messo meno del mese di tempo previsto. Dovrei consultarmi con i colleghi che l’hanno presentata a Roma per sapere se a loro hanno chiuso la pratica.

Però adesso devo solo aspettare il pagamento. Diciamo che nella sfiga mi è andata bene. Ho almeno 7 mesi di respiro, non tantissimo perché è un respiro al 60% del mio lordo mensile, per i primi sei mesi, però, ecco, sette mesi in più con un’entrata sono sempre sette mesi in più con un’entrata.

Adesso mi resta da finire di scrivere il romanzo e da mandarlo al concorso Neri Pozza. Ci sono 25000 euro e la pubblicazione, in palio. Dice Andrea che lo vince lui, il concorso, però, ecco, Andrea è juventino e io sta soddisfazione vorrei evitare di dargliela!  Parola di romanista.

Quindi stasera mi metterò a scrivere le mie prossime 20 righe (ieri ne ho scritte 52).  Da qui a fine dicembre ce la posso fare.

Per oggi è tutto. Abbiamo speso la nostra buona parola quotidiana per qualcuno, abbiamo avuto la nostra buona notizia, e abbiamo in programma roba da fare per l’intero fine settimana. Vi lascio in compagnia del nuovo amico entrato di diritto nella mia collezione di personaggi strani: il Fantasmino Grassoccio. Si ringrazia Thumper  per il regalo:

State bene.

Giorno 25

Un attimo di attenzione. Sono quattro giorni che cambio il template al blog. Questo va bene? Perché io sarei seriamente intenzionata a non cambiarlo più, ma siete voi che dovete subirlo, e allora chiedo.

Avete visto, che ho messo pure la licenza Creative Commons? Me n’ero dimenticata, ma per fortuna, o purtroppo ha pensato Galatea con la sua disavventura del copiatore di professione, a ricordarmela. Che poi, diciamo che a una fa pure piacere, quando alla gente piace la sua roba, eh. Ma magari scrivere che è farina del sacco altrui e non tuo è una cosa simpatica (no, se è in rete non è di tutti. Di solito è di qualcuno, e sarebbe carino citarlo, il qualcuno, di solito. Sennò poi la gente si incazza e ti viene a insultare dentro casa, e tu te lo meriti, copiatore da strapazzo)

Vabbé, mentre ci pensate, se vi piace o meno il template, vi racconto una cosa che mi è successa oggi. Eh? No, non ho trovato lavoro. Troppa grazia. Anzi, ho provato a mandare un curriculum a una persona che cercava qualcuno che parla un ottimo inglese, e io l’inglese non ce l’ho ottimo ma ci posso sopravvivere, in compenso ho un sacco di altre qualità. Però la persona voleva proprio l’inglese ottimo, e beh, non ci crederete, mi ha pure risposto per dirmi che voleva l’inglese e che no, non andavo bene per la posizione.

Invece oggi mi ha telefonato la mia vicina di casa. Quella di Milano, di cui non ho mai parlato, credo. Che però è quella con cui passavo un sacco di pomeriggi, alle superiori. In prima e seconda, più che altro, perché poi nel frattempo succedevano un po’ di cose, nella vita.

Ed erano tipo dieci anni che non la sentivo. Non scherzo. Credo di averle telefonato l’ultima volta un 15 agosto dei primi anni del 2000, per farle gli auguri di compleanno (è nata a ferragosto, in un posto dove c’è pure il mare).

Credevo che volesse parlare con un’altra persona,  presente quando chiamate al telefono qualcuno pensando di aver fatto un altro numero e vi trovate a parlare con uno/a che non sentite da un sacco di tempo e avete quasi dimenticato? Invece no. Chiamava proprio me. Sono tornata indietro di anni e anni, quando veniva a suonare alla porta, anche all’improvviso, e ci mettevamo a fare cose stranissime, tipo passare il pomeriggio a scrivere poesie (io) e a dirmi che facevo schifo (lei). Che quando mi diceva ‘fai schifo’ in realtà intendeva l’esatto contrario. E a me piaceva, fare schifo. Come lo diceva lei, però. Non è che tutti possono dirmi che faccio schifo impunemente. Lei poteva.

E così mi ha detto qualcosa di lei, tipo che è stata tra Bergamo e Brescia e ora andava a Parma, che era in piazza a Milano quando hanno eletto Pisapia (c’ero anche io), cose così, e poi mi ha chiesto che cosa faccio io.

E io non so mai cosa devo rispondere, quando mi chiedono cosa faccio. Perché faccio un sacco di cose, tutte strane. A parte cercare un lavoro, di questi tempi. Però non è che sia cambiato molto, rispetto a quando il lavoro ce l’avevo. E allora le ho detto che scrivo ancora. Che ho un po’ di cose a disposizione di tutti, sullo Starbooks. Che mi diverto, a scrivere lì sopra, pure che è gratis.  E insomma, mi sembrava di avere quindici anni, quando le cose importanti per gli altri (come vai a scuola? Ce l’hai il fidanzato? Cosa farai da grande?) non avevano rilevanza, e invece contava questa cosa: cascasse il mondo io scrivo.

Era contenta. Non ha chiesto ‘hai pubblicato?’, magari non le è nemmeno passato per l’anticamera del cervello di chiederlo perché magari non è di quelle che pensano che se non hai pubblicato non sei nessuno. Non lo so, cosa pensa adesso la mia amica di quando avevo quindici anni. Però era contenta.

Ed ero contenta pure io, di questo balzo indietro nel tempo. Adesso le devo mandare un po’ di cose. Sono inquieta, sapete. Mi sto chiedendo se le piaceranno, le cose che ho scritto da quando nessuno mi dice più ‘fai schifo’.

Poi abbiamo chiuso la telefonata. E me ne sono uscita, per andare a raggiungere un’altra amica. Un bel po’ più recente.

E insomma, oggi è andata così. Ho visto gente, e fatto cose (ho ritirato pure i miei cappotti in tintoria, così quando la prossima settimana arriva l’autunno sono pronti nell’armadio).

E ho dimenticato la Fornero e la malmostosità di ieri. Mi piace, quando dimentico la malmostosità. La malmostosità non fa bene alla salute.

Ah, se vi interessa, oggi ho deciso che ci vuole una bella scossa alle mie 20 righe giornaliere che non decollano. Quindi ho deciso di lanciare la sfida collettiva. Se volete venire a giocare anche voi, passate pure di qua.

Giorno 24

(Ovvero: il giorno in cui ci si comincia a preoccupare realmente per il futuro prossimo.)

Ecco, io stanotte non ho dormito benissimo. Nel senso che mi sono chiesta un po’ di cose, prima di addormentarmi.

Per esempio. Mi sono chiesta se tutti i miei principi non siano un po’ esagerati, e se la vecchia zia Elsy non abbia un po’ di ragione quando dice che ci dobbiamo accontentare. Poi, che ve lo dico a fare. Non parlava con me, la zia Elsy. Parlava probabilmente con i giovani, quelli giovani sul serio, non che vanno verso gli anta. Me, probabilmente, manco mi considera più nell’economia della nazione. Sono stagionata. E se fosse qui, la vecchia zia Elsy, mi direbbe che io sono fuori tempo massimo per qualunque cosa, perché ho avuto un sacco di anni davanti per pensare al mio futuro e li ho fottutamente buttati, e quindi se sto ancora cercando un lavoro alla mia veneranda età la colpa è solo mia.

E anzi, non mi venisse nemmeno in mente di chiedere una pensione, perché non me la merito. A quest’ora dovrei già aver raggiunto una buona parte dei requisiti di misura, per la pensione, i famosi 20 anni di contributi, e se va bene ne ho due, interi, di anni. Contando tutto quanto, voglio dire.

Che poi, io non lo capisco, che cosa avrei dovuto fare, nella vita. Sì. Occhei. Cercare un lavoro a tempo indeterminato,. appena uscita dalle superiori. Ma io appena uscita dalle superiori non sapevo nemmeno se fosse meglio grattarmi l’orologio o caricarmi il culo. Dopo il liceo che potevo far, non c’era che l’università, direbbe il buon vecchio Spugna. (perché hai voglia a dirti che tu volevi essere Peter Pan. Gratta gratta, in fondo non eri altro che un pirata. Nemmeno di quelli più importanti, tra l’altro).

Ci ho messo un po’ troppo tempo per capirci qualcosa. Probabilmente ero già fuori tempo massimo, quando l’ho capito. Però, se sei fuori tempo massimo, che fai? Non ci provi nemmeno? Manco per idea.

E insomma, io avevo i sogni, schizzinosi. Da sveglia ho fatto quello che ho trovato. Ossia tutti lavori con condizioni dignitose, per quello che era il mio standard della dignità. A volte persino belli,.perché era bello, il mese l’anno che trascorrevo con i bambini delle materne. Di sicuro meglio delle interviste telefoniche, che pagavano di più e avevano l’orario perfetto per frequentare la scuola di cinema. Ma pure meglio delle sceneggiature di soap. E questo non era detto.  Son cose che scopri quando la stai scrivendo, la sceneggiatura. Ti dici a quest’ora potevo essere in una scuola materna del Comune di Milano, a cercare di evitare che le pesti della Palmieri non si ammazzassero tra di loro e a cercare di capire che insulti lanciano i bambini cinesi ai bambini voetnamiti nella loro lingua madre. (cose che capitavano abitualmente, non sto esagerando. Prendete i bambini di una periferia cosiddetta degradata e ad alto tasso di immigrazione a sud di Milano, e vedete la miscela esplosiva che ne scaturisce. Poi mi venite a raccontare. Potreste pure chiedere che cosa ci sia di bello, in tutto ciò E a dire il vero non lo so, ma i bambini danno molta più soddisfazione degli adulti, quando ti danno retta. Non è mica facile, convincerli a farsi dare retta, e se ce la fai è meglio che farsi accettare una scena particolarmente ostica dagli editor Rai. Ma non lo dite agli sceneggiatori, che poi ci rimangono male. E nemmeno agli editor Rai. Loro ci restano peggio)

Magari ho pure avuto culo, eh. Magari è che a Milano lo schifo riesci anche a scansarlo meglio che in altri posti d’Italia, perché se è vero che esiste, è pure vero che hai delle alternative migliori, a metterti a cercarle d’impegno.

Qui a Roma è sempre stato tutto molto più complicato. La melma ti assale, approfittando probabilmente di quella tendenza ad adagiarsi e ad accontentarsi di quello che si trova. Perché se tu rifiuti, ce ne sono sul serio un centinaio dietro di te, pronti a prendere il tuo posto. Poi anche qui a scavare bene qualcosa, ancora un paio di anni fa, si trovava. Qualcosa al di sopra della melma, dico. Adesso c’è crisi. E gli anni sono passati. passano per tutti. Perché non dovevano passare per me?

E insomma, è successo che stanotte mi sono chiesta un po’ di cose. La notte non è un buon momento per porsi certe domande. Di sicuro la notte dopo un colloquio brutto che più brutto non si poteva è un momento pessimo. Ti torna su tutta la tua vita come la peperonata, e in certi momenti riesci pure a dare ragione alla zia Elsy, se non fai attenzione. Ti dici pure è vero, sono un po’ choosy.

In realtà poi la mattina ti svegli e scopri che non sei choosy. Hai semplicemente assorbito qualche principio. Il primo, quello fondamentale, è che cascasse il mondo non sei al mondo per lavorare, ma il lavoro ti serve per vivere. E soprattutto tu non sei valutabile esclusivamente in base al tuo lavoro, al tuo stipendio e quanti contributi hai accumulato nella tua esistenza. Sei un sacco di altre cose. Non quantificabili probabilmente a livello monetario.

Però quando rileggi il tuo curriculum vitae pensi che è un peccato, che le cose che hai fatto debbano ridursi a qualche data di inizio e fine lavoro, di inizio e fine corso di formazione, di competenze.

Dovresti poterci scrivere quanto hai imparato a essere puntocazzista da quando esiste internet e con lui la possibilità di cercare informazioni sempre più precise. O cosa riesci a costruire data una semplice informazione, a livello di contenuti. O quante informazioni sei riuscita ad assorbire continuando a cambiare lavoro, perché ti piaccia o no hai imparato sul serio, a essere flessibile. Mentalmente. E hai imparato pure a cambiare idea, quando in effetti ti accorgi che stavi portando avanti un’idea obsoleta. E la capacità di cambiare prospettiva, cazzo, è una di quelle cose che su un curriculum dovrebbe stare al primissimo posto. Subito dopo il nome. Caratteristiche personali: lotta per le cose in  cui crede ma è capace di cambiare idea quando le cose in cui crede si rivelano sbagliate o inadatte.

Oh,  scusate, se oggi non vi racconto nulla della mia giornata, che è stata abbastanza complicata. (il colloquio l’ho fatto, solo che sono arrivata tardi, per il corso i posti sono finiti… Sarà per il prossimo).

Però anche no, anche niente scuse. Il diario è mio. E quando dormo male ci sta pure che vi tenete i miei pensieri notturni sconnessi.

Che poi, vi è andata davvero male. Oggi era il giorno che dovevo andare a Londra in vacanza, e invece non ci sono andata e non ho nemmeno stampato il biglietto Ryanair.

Però domani è un altro giorno, e domani si ricomincia a cercare un lavoro. Mantenendosi sempre un po’ choosy, perché a zia Elsy la soddisfazione di dirmi te l’avevo detto non la lascio nemmeno se viene a offrirmi un posto da 2000 euro al mese.

Oddio. No, in quel caso posso anche ammettere di essermi sbagliata. L’ho appena scritto sul curriculum, che ho imparato a cambiare idea. Mica posso contraddirmi.

State bene.

Giorno 23

Pure la giornata 23 sta per terminare.

Andando in ordine è stata la giornata della cervicale che si è fatta risentire (attenti, voi che non avete ancora superato i 30 anni, prima o poi il vostro collo vi chiederà il conto di tutta la ginnastica posturale che non avete mai fatto. E quando ciò avverrà, capirete che cosa significa il dolore al collo!), del saccheggio dei libri gratuiti su Amazon e del colloquio.

Da che comincio? Dal colloquio? E va bene. Premetto che probabilmente non riuscirò a mantenere il mio solito ottimismo e cadrò nel tono sarcastico-ironico-avvelenato che contraddistingue l’Ufficio Reclami. Ma tant’è, il blog è mio e se voglio inacidirmi un po’ ne ho tutti i diritti.

Dunque. Come accennato ieri, il colloquio si svolgeva in un call center sulla solita Tiburtina. Tra via Lino da Parma e via del Casale di San Basilio, per essere precisi.

Non ero andata al colloquio con grandi aspettative, si sappia. Noi che stiamo cercando lavoro dopo due anni di astinenza da ricerca, si sa, dobbiamo ricominciare a guardarci intorno, perché eravamo abituati troppo bene, con il nostro orario fisso 5 giorni su 7 e la nostra ansia da rinnovo che si ripresentava puntuale, fino a un massimo di sei rinnovi consecutivi. Perciò è bene ricordarsi che dietro l’annuncio di ricerca di lavoro, soprattutto su quelli che non sono iperprecisi nelle condizioni contrattuali, ma parlano in modo generico, potrebbe nascondersi la fregatura.

O anche no, sia chiaro.

Uno dei peggiori annunci mai letti nella mia vita mi ha portata a uno dei contratti a tempo determinato più lunghi che la mia storia di lavoratrice dipendente riesca a rintracciare. Quindi, in presenza di un annuncio che non puzza lontano un miglio di roba che potrebbe non piacerci (telemarketing,  teleselling, recupero crediti, raccolta fondi per ONG, vendita di Kirby porta a porta, vendita di vangeli illustrati, e via dicendo sono conteggiabili nell’elenco) e in mancanza di impegni più allettanti, conviene sempre fare il colloquio.

Tornando al nostro. Io ero attratta dalla mansione: HELP DESK.

E quindi mi sono sobbarcata l’ennesimo viaggio sulla Tiburtina, anche se stavolta la sveglia è stata un po’ più tardi. Queste persone sono state più umane (leggi: era rimasto un buco per mezzogiorno e mi hanno ficcata lì).

Quindi mi sono fatta il viaggio fino a Rebibbia e una passeggiata a piedi fino alla via. Un punto a sfavore di queste persone: il palazzo si trova in un punto raggiungibile solo con l’ausilio di un navigatore. O con l’ausilio di un autoctono, come è capitato a me. Perché dopo aver girovagato tra i numeri pari ed essermi ritrovata in una strada che sarebbe degna di Barkston Gardens a Londra (se non la conoscete, passateci. È una strada a ferro di cavallo, in una zona residenziale di Earls Court, e la sua caratteristica è di avere in mezzo al ferro di cavallo un giardinetto privato bellissimo, che in aprile fiorisce di fiori che una non ci crede, che stanno a Londra, e invece sì, ci sono. Se trovo le foto le posto) se solo ci fosse il parchetto, alla ricerca infruttuosa dei numeri dispari, ho trovato un’anima pia che probabilmente dà la stessa informazione tutti i giorni. Mi ha indicato il palazzo con una precisione che nemmeno Googlo Maps.

Quindi sono arrivata al citofono. Ho suonato. Che poi, la sede stava al secondo piano del palazzo, però a noi, chissà com’è, ci hanno colloquiati al primo.

E il primo impatto mi ha ricordato lo stesso colloquio, che poi non era stato un colloquio, alla sede dell’E(sa)urisko di Roma. Di fatto, ho attraversato le stanze dove la gente stava al telefono, parlando con voci più o meno gradevoli. Ecco, pensate al meno, ma il meno è pure una condizione abituale per chi lavora in un call center. Ci si abitua facilmente. Certo, al ventitreesimo giorno di silenzio ci si è pure disabituati. E l’effetto risulta sgradevole. I colloqui conoscitivi andrebbero sostenuti in luoghi più tranquilli.

Magari pure con gente che ha meno in testa il manuale del perfetto reclutatore scritto nel 1840 avanti Cristo che ha dimostrato ampiamente che la tecnica del famo i simpaticoni non funziona più. E invece no, mi sono trovata questa donna che aveva l’aria di volerti intortare a tutti i costi, cercando di sembrare una che avrebbe fatto selezioni serissime, perché tra due giorni doveva esserci l’occasione della tua vita. Il corso di formazione per il lavoro dei tuoi sogni.

Ma andiamo con un po’ più di ordine. Sono entrata, mi sono accomodata, ho tolto la suoneria, ho cominciato a compilare un foglio assurdo in cui mi venivano chieste esperienze scarsissime rispetto al mio intero curriculum vitae e un’autovalutazione di quelle in cui ti devi descrivere con cinque aggettivi in un elenco lunghissimo. Altra roba del 1840 avanti Cristo.

Nel frattempo ascoltavo un colloquio individuale a un ragazzo che aveva la colpa enorme di disporre già di un lavoro, e pure di un figlio da andare a prendere. La cosa che mi ha distratta dalla mera compilazione del mio foglio striminzito è stata un lei non si sa vendere pronunciato a voce decisamente troppo alta. Se già avevo dei dubbi, a quel punto erano diventati certezze. Volevo scappare a gambe levate. E invece sono rimasta.

Finita la compilazione del foglio, ci siamo girati a guardare in faccia la nostra selezionatrice, che si è presentata con nome, cognome, ruolo e fare che cercava di essere simpatico. A me non faceva ridere. Mi ha sgamata subito. Mi ha chiesto se io non rido mai. Le ho risposto dipende. Lo so, sono sempre molto simpatica. Però io rido quando mi viene da ridere, non rido con una buffona che mi fa seriamente pensare a quanta gente starebbe molto meglio nel suo ruolo di selezionatrice, pure per competenze, e invece si arrabatta a cercare un lavoro dietro l’altro.

Non ho speso nemmeno una mezza parola per descrivere il luogo dove abbiamo sostenuto il colloquio, ed è una grave mancanza. Eravamo esattamente in due file vuote di postazioni. Ora, le postazioni generalmente sono divise in file o in isole. Noi eravamo disposti su due file, e ci davamo la schiena. lo spazio vitale corrispondeva esattamente a quello necessario per spostare una sedia a rotelle, di quelle da scrivania, il necessario per uscire dalla postazione senza soffocare o andare a infrociare contro quello dietro di noi. In confronto in Visiant avevamo a disposizione una distesa senza fine. E potevamo persino respirare.

Torniamo al colloquio,. che si è rivelato essere una specie di colloquio collettivo senza averne le caratteristiche peculiari, tipo la calma e il giochino interattivo. Il nostro era caratterizzato più che altro dalla fretta.

Il lavoro però era l’unica cosa interessante. Si trattava, effettivamente, di assistenza telefonica a venditori di telefonia mobile. Quindi con orari di negozio. Dal lunedì alla domenica, su turni. Si poteva scegliere tra 6 ore al giorno e 8 ore. Per sei giorni su sette.

Non male, dite? Sì. Non male. Peccato che fosse con contratto a progetto.

E ancora peggio. Con un rimborso (non compenso, proprio rimborso, l’ha chiamato) orario di 5 euro. Più 0,25 centesimi di euro a telefonata gestita entro i 6/7 minuti.

Ora. Se considerate prima di tutto che da anni è illegale proporre co.co.pro. a chi ricopre la mansione di opeatore in bound, e che invece un contratto del genere dovrebbe essere regolamentato dal CCNL delle telecomunicazioni, che prevede al secondo livello 1270 euro al mese lorde (7,50 euro e rotti all’ora, se ve lo state chiedendo), e un massimo di 40 ore settimanali come previsto per TUTTI i tipi di contratti di lavoro subordinato, escluso il contratto delle COLF e BADANTI, che può arrivare a 54 ore, capite pure voi che la proposta, pure se il lavoro era meglio della merda che viene offerta solitamente, non aveva la minima attrattiva.

Ah, prima che passi la zia Elsy (il nuovo soprannome della Fornero, coniato stasera) di turno a dimri che non dovrei fare la schizzinosa, faccio presente che ho avuto momenti di scompenso tali, nella mia vita, che mi hanno portata ad accettare anche contratti del genere, con condizioni pure allucinanti sul posto di lavoro. E per esperienza personale so che è un tipo di compromesso a cui non sono disposta a scendere, nel momento in cui posso ancora permettermi di cercare qualcosa di meglio. Perché lavorare con un datore di lavoro che già ti fa un contratto fuori dalla normativa vigente, da te accettato perché ti senti con l’acqua alla gola, lo autorizza a trattarti come se fossi a sua eterna disposizione, a mo’ di zerbino.

Oggi sono i minuti di chiamata, domani sono le ore in più e le pretese assurde, con richiesta di ringraziamenti perché in fondo ti fa lavorare (quando invece il contratto di lavoro è un patto tra due parti, e tu non fai nient’altro che il lavoro per cui il datore di lavoro ha ritenuto di doversi avvalere della tua capacità e della tua competenza).

Soprattutto. Né oggi né domani 5 euro di compenso possono essere sufficienti per ripagare un lavoro per cui ti stanno chiedendo competenze informatiche di alto livello e un’esperienza considerevole nella stessa mansione. Tralascio la questione dei contributi validi ai fini della disoccupazione ordinaria, che possono pure essere relativi, in certi casi (però sapere che l’accumulo di settimane utili per l’accesso alle prestazioni a sostegno del reddito fa sicuramente bene alla salute).

Quindi il colloquio è terminato, con la richiesta di tenere i cellulari accesi nelle 24 ore successive, perché avremmo potuto essere contattati in qualunque momento.

Sembrava che ci dovesse essere una grande selezione, una scelta all’ultimo sangue, decisioni sofferte, e a un’ora esatta dall’uscita dal colloquio, tempo di mettere piede in casa, la signora selezionatrice mi stava già ricontattando. Sbagliando il mio cognome: mi ha confusa per due volte con un’altra ragazza. Cose che fanno simpatia, soprattutto dopo aver passato un’ora a sentire la persona che ti sbaglia il cognome ripetere che per lei ogni persona è importante. Forse è importante la persona e del nome possiamo anche fare a meno.

Comunque mi dava la grande notizia. Ero stata scelta per il secondo colloquio, da tenersi domani. Parlava come un treno, ho dovuto interromperla, per poterle dire che ci ho pensato e ho deciso di non accettare proprio per il contratto a progetto. La signora selezionatrice ci ha tenuto a ricordarmi che un’assunzione a tempo determinato o indeterminato comunque è prevista, in futuro, ma non si sa quando. E però una risposta a tempo indeterminato su questa questione per me era fondamentale. Così la signora selezionatrice mi ha fatto presente che avrei perso il treno. Credeteci o no. Questa è stata la frase che mi ha convinta di avere fatto la scelta giusta, dicendo di no. Ho pensato pazienza, prendo il prossimo.

E questa è stata la fine del mio secondo colloquio.

Sono cose che ti fanno un po’ incazzare, comunque. Sentirsi fare proposte del genere e poi sentirsi trattare come se stessi prendendo a calci chissà quale occasione della vita. Quando l’occasione della vita si traduce nell’ennesimo lavoro in un call center. Ma voi avete presenti quei selezionatori che ai colloquio vi chiedono perché siete interessati proprio a quel lavoro, e il lavoro è un lavoro di merda?

Ecco, io mi devo sempre trattenere dal dire esplicitamente che mi servono soldi perché altrimenti col cavolo che mi sarei presentata al colloquio, tantopiù che sostenere un colloquio di lavoro è sempre una cosa degradante e un po’ umiliante, per una persona disoccupata. Perché non è mai alla pari, il colloquio. C’è sempre una persona che ha il coltello dalla parte del manico e che nonostante abbia messo un annuncio in cui ti ha detto esplicitamente sto cercando qualcuno che lavori per me ti deve per forza trattare come se offrirti quel lavoro sia stata una tua idea, e lei ti sta facendo un enorme favore per cui sarai in debito eternamente e non la potrai mai ripagare abbastanza.

Ecco, io contro questa logica cerco di lottare da anni. Ed è maledettamente complicato ricordarsi della lotta di anni, mentre stai sostenendo il colloquio.

Per oggi mi sa che chiudo perché ho il veleno che mi avanza. Forse domani vi racconto cosa ho scaricato da amazon. Posso solo preannunciarvi che pur sapendo che Dickens ha scritto tanto, nella vita, non avevo idea che il tanto potesse essere quello che sono riuscita a scaricare solo oggi…)

Fate i bravi.

(oh, a proposito. Danno The Untouchables, su Rete4. Mi spiace conoscerlo a memoria, altrimenti me lo rivedrei)

Giorno 22 – aggiornamento

Mi fanno notare che non ho commentato l’ennesima uscita infelice della Fornero sui giovani che devono essere meno schizzinosi (meno choosy, come dice lei).

È che arrivata a un certo punto, che glie voi dì, a sta donna? È un pezzo che abbiamo capito com’è fatta. Comincio a credere che mi sorprenderò solo il giorno in cui pronuncerà parole di buon senso e darà il suo nome a leggi che hanno una reale utilità per chi sta con il culo per terra. Temo che non accadrà tanto presto. Ma io sono un’inguaribile pessimista cronica, magari mi smentisce.

(poi, sulla questione del doversi accontentare del primo lavoro che capita, io alla Fornero ne direi tante, ma mica perché sono giovane e già mi accontento di quello che capita, ché tanto giovane non lo sono più. Proprio perché la mentalità dell’accontentarsi del primo lavoro che passa il convento è una roba da suicidio dell’anima e della dignità dell’individuo. A furia di accontentarsi, quelli meno giovani, della mia generazione, adesso sono una manica di rammolliti capace di dirti che dopotutto uno che ti sta chiedendo una fetta di culo panato tagliata all’osso è una brava persona e poteva andarti peggio. Francamente altre generazioni capaci di fare questi ragionamenti io non le voglio tra i piedi. Frustrano qualunque aspirazione di elevazione della specie umana e dell’individuo. Non essere schizzinosi, abbiate pazienza, è un consiglio del cazzo. C’era quel tizio di nome Machiavelli che aveva tirato fuori la metafora dell’arciere, che per colpire più lontano mira più in alto possibile. Io comincerei a tirarla fuori di nuovo. Altro che essere choosy…)

Giorno 22

Anche l’ultimo fine settimana è passato, e sono pure riuscita ad andare a fare un giro in Piazza San Giovanni, alla manifestazione.

Che poi non era una vera è propria manifestazione, di quelle col corteo, come piacciono a me (salvo quando volano i fumogeni e ti prende il panico perché non sai più dove devi andare. Ci sto pure scrivendo un po’ di romanzo, sulla gente che prende e scende in piazza a manifestare, deve essere una cosa che mi sta molto a cuore. O è così adolescenziale che in un romanzo adolescenziale sta alla perfezione…).

La CGIL ha messo tutti gli stand delle regioni d’Italia in piazza, e per ogni regione tu andavi e leggevi dei pannelli-cartelli e simili dove ti dicevano quanta gente è disoccupata dall’anno X, quanta in CIG, quanta è in mobilità, e insomma, se non ci stavi attento ti tagliavi pure un po’ le vene, perché se sei disoccupato non ti fa bene avere la certezza matematica così devastante che del baratro si sta vedendo il fondo. Poi la ciliegina sulla torta l’hanno fatta gli interventi, tipo quello del ragazzo di Taranto che spiegava come alla Teleperformance siano tutti in mobilità, e che è la seconda realtà lavorativa di Taranto dopo l’ILVA, e mica ve lo devo dire io, no, cosa sta succedendo all’ILVA.

Allora, pure se non mi spavento quasi di nulla, di solito, sabato in manifestazione ho scattato poche foto, l’essenziale. A poca gente, perché la gente stava ancora arrivando (ci sono passata alle 11, il pomeriggio volevamo vedere C’era una volta in America e dovevo tornare a casa abbastanza presto), ma a tanti cartelli. E pure  ai palloncini, che a me piacciono, i palloncini delle manifestazioni CGIL, me li porterei a casa, ogni tanto. Peccato che non si possa…

(qui un po’ di foto)

Questo slideshow richiede JavaScript.

E insomma, dopo questo giro nella depressione collettiva abbiamo fatto il tentativo di vedere un film rimontato della modica durata di 4 ore e mezzo. Il Correttore non era molto d’accordo ma è stato convinto con le cattive a venire al cinema.

Senonché al cinema, ohibò, non c’era più posto. Dite che dovevamo prenotare? Sì, forse avete ragione, ma una confida sempre nella mancanza di spirito della gente. Chi si chiuderebbe scientemente in un cinema un sabato pomeriggio di sole per uscirne verso le 20? A parte noi, intendo.

(se non vi tornano i conti è perché nel conteggio dei minuti va considerato anche questo. Leggere il primo cartello in alto, sulla destra)

E insomma, alla fine siamo andati da IBS, a cercare nientemeno che una connessione WIFI. Oh, io ve lo dico. Se passate a Via Nazionale e siete poveracci che non hanno internet ma hanno uno smartphone, passate da IBS in cassa e fatevi dare il codice per l’accesso al WIFI. Potete usarlo per 3 ore. Dura 30 giorni. Tante volte a uno gli serve internet.

A me, no. A me serviva giusto un Woodehouse. Uno di quelli usati, della Mursia, che non riesco mai a prendere perché IBS, come prima Melbook store, ha gli scaffali che non sono adatti alla gente alta un metro e ho tanta voglia di crescere. Sabato però avevo a disposizione il Correttore, che è alto una ventina di centimetri buoni più di me.Gli ho fatto recuperare i libri che non riesco mai nemmeno ad annusare, tanto sono lontani da terra. E c’era questo Chiamate Jeeves che mi chiamava. Potevo astenermi dal rispondere? Non è gentile.

A mia discolpa, non esiste ancora in versione ebook.

Il sabato è andato così. La domenica è stata più produttiva. Eh? No, non ho trovato lavoro. Anche perché i miei due siti di riferimento sembrano in sciopero di annunci, da un paio di giorni. C’è il vuoto pneumatico, girando in Jobrapido e in Infojobs.

Così mi sono turata il naso e sono andata a cercare altrove. In uno di quei posti dove non metto mai il naso. Kijiji. Facendo anche male, perché c’è un sacco di monnezza perfetta per gli Annunci Possibili. E pure roba stramba. Per esempio ieri cercavano gente coi capelli lunghi, per fare un taglio da esposizione. Ecco, sta cosa dei capelli, che ti pagano se vuoi farteli tagliare. Parliamone. Insomma, ci aveva già pensato Josephine March. Solo che a lei han dato 25 dollari del 1865. Io per 60 euro non lo so, se mi faccio tagliare i capelli:

 

C’è da dire che a me mancavano anche quei 4 centimetri di altezza… Comunque lo terrò in considerazione per il futuro, questo capitale che porto in testa. Per il presente, ho trovato un annuncio per un help desk telefonico. Sempre dalle parti della Tiburtina (ormai ho imparato la strada e non la cambio più, Santa Polenta. Ma i call center sula linea A, me li volete mettere o no?).

Mi hanno mandato una mail. Domani ho un altro colloquio. Vediamo che mi dicono. Io son sempre qui che aspetto mercoledì pomeriggio, per il corso di receptionist. Ma metti che mi spunta pure un lavoretto decente, nel frattempo. Anche prima che mi lavorano la domanda di disoccupazione, sì. Sono milanese, in fondo. La disoccupazione per me è sempre l’ultima spiaggia, pure se ne ho diritto. Non è mica facile mettersi qui a pensare che comunque ho diritto a un sussidio. Chi era quella che diceva che agli italiani se gli dai il salario minimo garantito poi gli vien voglia di mettersi panza all’aria a mangiare spaghetti? Ah, già. La Fornero.  Vabbé, di chiunque parlasse, io mi sento esclusa. E pure un po’ offesa. Si sappia.

Comunque domani colloquio. Invece ieri pomeriggio finalmente siamo riusciti ad andare al cinema. No, eh, niente C’era una volta in America, purtroppo.

Invece abbiamo visto Reality. Matteo Garrone. Che a me è piaciuto. Almeno. L’idea era veramente figa. Magari andava un po’ asciugato. Era ridondante, per certi versi. Però si faceva guardare. Ben recitato, ben girato… Poi c’è la sequenza iniziale, alla Sonrisa, che è un posto allucinante. Una roba che nelle mie peggiori fantasie non avrei mai potuto nemmeno ipotizzare. Ecco, c’è questo posto che è un matrimonificio, e non solo. Ci fanno i matrimoni, le comunioni, le cerimonie più cafone che si possano immaginare. Presenti quei matrimoni pacchiani, dove le spose sembrano meringhe e le invitate si mettono addosso profluvi di paillettes e dove c’è la gara al regalo più sborone, che sennò chissà che dice il cugino che ha i soldi? Ecco.

Io sto posto l’avevo già visto. In fotografia. Dovevamo ambientarci una sceneggiatura di un lungometraggio. E già le foto mi avevano spaventata parecchio.

Comunque. Il film non ve lo racconto. Se vi va, vedetelo. Se non vi va, che vi devo dire. Guardatevi qualcos’altro.

Ieri tra l’altro eravamo in compagnia di un’amica, che a gennaio avrà il primo contratto a tempo indeterminato della sua vita, dopo un’esistenza a progetto. E io mi sono accorta che chi ha passato la vita a progetto non ha una pallida idea di quello che comporta il contratto di lavoro subordinato (dovrei dire ‘per il momento’, visti i tentativi ripetuti di diminuire i diritti dei lavoratori).

Uno di questi giorni ci scrivo un post. Sul serio, eh, mica come il post sulla disoccupazione. Che poi ridendo e scherzando oggi l’ho finito. È stato faticoso, eh. Uno non ci crede, ma fare un tutorial non è mica semplice. Però adesso è pronto. Sta qui. Se vi serve, usatelo.

E insomma, la giornata si è conclusa bene. Siamo stati sotto casa. Alla festa della Federazione della Sinistra. A mangiare sarcicce e sentire gli stornelli romaneschi, in mezzo alla gente del quartiere Don Bosco. Manco in Roma di Fellini.

Ho imparato una canzone nuova, e adesso me la studio, poi la vado a cantare ad Alemanno, quando tira fuori provvedimenti idioti come la storia della legge antibivacco. Parla del divieto di sputo. Una legge del 1900:

Potremmo fare un coretto.

Ah, ieri ho pure scritto un po’. Sì, mi sto adattando un po’ troppo a questa disoccupazione. Urge trovare qualcosa da fare al più presto. Se avete suggerimenti, mandateli pure. Qui non si butta niente.

Stasera vi saluto presto. Ho una cena tra ex colleghi. A domani.

Giorno 19

Finalmente è venerdì.

Sì, va bene, non bisognerebbe aspettare il venerdì quando si è disoccupati, sembra che non ci sia nulla da cui riposarsi, no, quando si è disoccupati?

Epperò fa piacere, il venerdì. L’avevo già detto alla prima settimana, il sabato e la domenica, per il disoccupato, diventano uguali al sabato e alla domenica di tutti i lavoratori che riposano nel week end (i turnisti fanno eccezione per ovvi motivi).

Così se uno il sabato ha una manifestazione della CGIL a Piazza San Giovanni può anche andarci, perché i sabati di manifestazione sono belle giornate, quando le manifestazioni non degenerano come quella del 15 ottobre 2011 in fumogeni e roba strana. Ne so qualcosa perché c’ero, il 15 ottobre. Me la ricordo ancora.

Comunque domani ci faccio un salto, in piazza, anche solo a fare un paio di foto (leggi: a consumare la memoria della macchina fotografica. Sono secoli che non fotografo come si deve una manifestazione). Poi vado al cinema.

Danno C’era una volta in America, rimontato. Sono quattro ore e mezzo di film.

E insomma, mi sto dedicando ai progetti per il fine settimana e non vi sto dicendo niente di quello che ho fatto oggi. Ma non ho granché da dire, oggi. Non è successo molto. Si può dire anzi che è stata una giornata decisamente moscia. Quando le giornate sono mosce è meglio mandare i curricula  e fare progetti per il giorno dopo.

Io oggi non ho mandato nemmeno un curriculum, per dire. (sono stata tentata, a dire il vero. C’è un annuncio per baby sitter, qui sulla Tuscolana. Mi sa che hanno già trovato, però non si sa mai… Una volta mi piaceva, fare la baby sitter. Chissà se il bambino che curavo, crescendo, ha riportato grandi danni… Eh? Non è una grande presentazione? Però me lo chiedo. Mi chiedo sempre se i bambini con cui ho avuto a che fare durante i miei tanti lavori alle materne e alle elementari sono cresciuti sani e se li riconoscerei. Era bello, avere a che fare con i bambini. Poi non so che ne pensassero i bambini. Mi sa che erano contenti solo quando suonavo la chitarra…)

Anche per questa settimana abbiamo dato. Ci rivediamo lunedì. A meno che non passiate in piazza San Giovanni, domani.

Ah, domani è il compleanno della mamma. Fatele gli auguri. Poi glieli faccio pure io, eh.

(no, un’altra cosa c’è. Sono tre giorni che mi sento un po’ strana, senza l’anello del nonno. Passerà, prima o poi?)