Pure la giornata 23 sta per terminare.
Andando in ordine è stata la giornata della cervicale che si è fatta risentire (attenti, voi che non avete ancora superato i 30 anni, prima o poi il vostro collo vi chiederà il conto di tutta la ginnastica posturale che non avete mai fatto. E quando ciò avverrà, capirete che cosa significa il dolore al collo!), del saccheggio dei libri gratuiti su Amazon e del colloquio.
Da che comincio? Dal colloquio? E va bene. Premetto che probabilmente non riuscirò a mantenere il mio solito ottimismo e cadrò nel tono sarcastico-ironico-avvelenato che contraddistingue l’Ufficio Reclami. Ma tant’è, il blog è mio e se voglio inacidirmi un po’ ne ho tutti i diritti.
Dunque. Come accennato ieri, il colloquio si svolgeva in un call center sulla solita Tiburtina. Tra via Lino da Parma e via del Casale di San Basilio, per essere precisi.
Non ero andata al colloquio con grandi aspettative, si sappia. Noi che stiamo cercando lavoro dopo due anni di astinenza da ricerca, si sa, dobbiamo ricominciare a guardarci intorno, perché eravamo abituati troppo bene, con il nostro orario fisso 5 giorni su 7 e la nostra ansia da rinnovo che si ripresentava puntuale, fino a un massimo di sei rinnovi consecutivi. Perciò è bene ricordarsi che dietro l’annuncio di ricerca di lavoro, soprattutto su quelli che non sono iperprecisi nelle condizioni contrattuali, ma parlano in modo generico, potrebbe nascondersi la fregatura.
O anche no, sia chiaro.
Uno dei peggiori annunci mai letti nella mia vita mi ha portata a uno dei contratti a tempo determinato più lunghi che la mia storia di lavoratrice dipendente riesca a rintracciare. Quindi, in presenza di un annuncio che non puzza lontano un miglio di roba che potrebbe non piacerci (telemarketing, teleselling, recupero crediti, raccolta fondi per ONG, vendita di Kirby porta a porta, vendita di vangeli illustrati, e via dicendo sono conteggiabili nell’elenco) e in mancanza di impegni più allettanti, conviene sempre fare il colloquio.
Tornando al nostro. Io ero attratta dalla mansione: HELP DESK.
E quindi mi sono sobbarcata l’ennesimo viaggio sulla Tiburtina, anche se stavolta la sveglia è stata un po’ più tardi. Queste persone sono state più umane (leggi: era rimasto un buco per mezzogiorno e mi hanno ficcata lì).
Quindi mi sono fatta il viaggio fino a Rebibbia e una passeggiata a piedi fino alla via. Un punto a sfavore di queste persone: il palazzo si trova in un punto raggiungibile solo con l’ausilio di un navigatore. O con l’ausilio di un autoctono, come è capitato a me. Perché dopo aver girovagato tra i numeri pari ed essermi ritrovata in una strada che sarebbe degna di Barkston Gardens a Londra (se non la conoscete, passateci. È una strada a ferro di cavallo, in una zona residenziale di Earls Court, e la sua caratteristica è di avere in mezzo al ferro di cavallo un giardinetto privato bellissimo, che in aprile fiorisce di fiori che una non ci crede, che stanno a Londra, e invece sì, ci sono. Se trovo le foto le posto) se solo ci fosse il parchetto, alla ricerca infruttuosa dei numeri dispari, ho trovato un’anima pia che probabilmente dà la stessa informazione tutti i giorni. Mi ha indicato il palazzo con una precisione che nemmeno Googlo Maps.
Quindi sono arrivata al citofono. Ho suonato. Che poi, la sede stava al secondo piano del palazzo, però a noi, chissà com’è, ci hanno colloquiati al primo.
E il primo impatto mi ha ricordato lo stesso colloquio, che poi non era stato un colloquio, alla sede dell’E(sa)urisko di Roma. Di fatto, ho attraversato le stanze dove la gente stava al telefono, parlando con voci più o meno gradevoli. Ecco, pensate al meno, ma il meno è pure una condizione abituale per chi lavora in un call center. Ci si abitua facilmente. Certo, al ventitreesimo giorno di silenzio ci si è pure disabituati. E l’effetto risulta sgradevole. I colloqui conoscitivi andrebbero sostenuti in luoghi più tranquilli.
Magari pure con gente che ha meno in testa il manuale del perfetto reclutatore scritto nel 1840 avanti Cristo che ha dimostrato ampiamente che la tecnica del famo i simpaticoni non funziona più. E invece no, mi sono trovata questa donna che aveva l’aria di volerti intortare a tutti i costi, cercando di sembrare una che avrebbe fatto selezioni serissime, perché tra due giorni doveva esserci l’occasione della tua vita. Il corso di formazione per il lavoro dei tuoi sogni.
Ma andiamo con un po’ più di ordine. Sono entrata, mi sono accomodata, ho tolto la suoneria, ho cominciato a compilare un foglio assurdo in cui mi venivano chieste esperienze scarsissime rispetto al mio intero curriculum vitae e un’autovalutazione di quelle in cui ti devi descrivere con cinque aggettivi in un elenco lunghissimo. Altra roba del 1840 avanti Cristo.
Nel frattempo ascoltavo un colloquio individuale a un ragazzo che aveva la colpa enorme di disporre già di un lavoro, e pure di un figlio da andare a prendere. La cosa che mi ha distratta dalla mera compilazione del mio foglio striminzito è stata un lei non si sa vendere pronunciato a voce decisamente troppo alta. Se già avevo dei dubbi, a quel punto erano diventati certezze. Volevo scappare a gambe levate. E invece sono rimasta.
Finita la compilazione del foglio, ci siamo girati a guardare in faccia la nostra selezionatrice, che si è presentata con nome, cognome, ruolo e fare che cercava di essere simpatico. A me non faceva ridere. Mi ha sgamata subito. Mi ha chiesto se io non rido mai. Le ho risposto dipende. Lo so, sono sempre molto simpatica. Però io rido quando mi viene da ridere, non rido con una buffona che mi fa seriamente pensare a quanta gente starebbe molto meglio nel suo ruolo di selezionatrice, pure per competenze, e invece si arrabatta a cercare un lavoro dietro l’altro.
Non ho speso nemmeno una mezza parola per descrivere il luogo dove abbiamo sostenuto il colloquio, ed è una grave mancanza. Eravamo esattamente in due file vuote di postazioni. Ora, le postazioni generalmente sono divise in file o in isole. Noi eravamo disposti su due file, e ci davamo la schiena. lo spazio vitale corrispondeva esattamente a quello necessario per spostare una sedia a rotelle, di quelle da scrivania, il necessario per uscire dalla postazione senza soffocare o andare a infrociare contro quello dietro di noi. In confronto in Visiant avevamo a disposizione una distesa senza fine. E potevamo persino respirare.
Torniamo al colloquio,. che si è rivelato essere una specie di colloquio collettivo senza averne le caratteristiche peculiari, tipo la calma e il giochino interattivo. Il nostro era caratterizzato più che altro dalla fretta.
Il lavoro però era l’unica cosa interessante. Si trattava, effettivamente, di assistenza telefonica a venditori di telefonia mobile. Quindi con orari di negozio. Dal lunedì alla domenica, su turni. Si poteva scegliere tra 6 ore al giorno e 8 ore. Per sei giorni su sette.
Non male, dite? Sì. Non male. Peccato che fosse con contratto a progetto.
E ancora peggio. Con un rimborso (non compenso, proprio rimborso, l’ha chiamato) orario di 5 euro. Più 0,25 centesimi di euro a telefonata gestita entro i 6/7 minuti.
Ora. Se considerate prima di tutto che da anni è illegale proporre co.co.pro. a chi ricopre la mansione di opeatore in bound, e che invece un contratto del genere dovrebbe essere regolamentato dal CCNL delle telecomunicazioni, che prevede al secondo livello 1270 euro al mese lorde (7,50 euro e rotti all’ora, se ve lo state chiedendo), e un massimo di 40 ore settimanali come previsto per TUTTI i tipi di contratti di lavoro subordinato, escluso il contratto delle COLF e BADANTI, che può arrivare a 54 ore, capite pure voi che la proposta, pure se il lavoro era meglio della merda che viene offerta solitamente, non aveva la minima attrattiva.
Ah, prima che passi la zia Elsy (il nuovo soprannome della Fornero, coniato stasera) di turno a dimri che non dovrei fare la schizzinosa, faccio presente che ho avuto momenti di scompenso tali, nella mia vita, che mi hanno portata ad accettare anche contratti del genere, con condizioni pure allucinanti sul posto di lavoro. E per esperienza personale so che è un tipo di compromesso a cui non sono disposta a scendere, nel momento in cui posso ancora permettermi di cercare qualcosa di meglio. Perché lavorare con un datore di lavoro che già ti fa un contratto fuori dalla normativa vigente, da te accettato perché ti senti con l’acqua alla gola, lo autorizza a trattarti come se fossi a sua eterna disposizione, a mo’ di zerbino.
Oggi sono i minuti di chiamata, domani sono le ore in più e le pretese assurde, con richiesta di ringraziamenti perché in fondo ti fa lavorare (quando invece il contratto di lavoro è un patto tra due parti, e tu non fai nient’altro che il lavoro per cui il datore di lavoro ha ritenuto di doversi avvalere della tua capacità e della tua competenza).
Soprattutto. Né oggi né domani 5 euro di compenso possono essere sufficienti per ripagare un lavoro per cui ti stanno chiedendo competenze informatiche di alto livello e un’esperienza considerevole nella stessa mansione. Tralascio la questione dei contributi validi ai fini della disoccupazione ordinaria, che possono pure essere relativi, in certi casi (però sapere che l’accumulo di settimane utili per l’accesso alle prestazioni a sostegno del reddito fa sicuramente bene alla salute).
Quindi il colloquio è terminato, con la richiesta di tenere i cellulari accesi nelle 24 ore successive, perché avremmo potuto essere contattati in qualunque momento.
Sembrava che ci dovesse essere una grande selezione, una scelta all’ultimo sangue, decisioni sofferte, e a un’ora esatta dall’uscita dal colloquio, tempo di mettere piede in casa, la signora selezionatrice mi stava già ricontattando. Sbagliando il mio cognome: mi ha confusa per due volte con un’altra ragazza. Cose che fanno simpatia, soprattutto dopo aver passato un’ora a sentire la persona che ti sbaglia il cognome ripetere che per lei ogni persona è importante. Forse è importante la persona e del nome possiamo anche fare a meno.
Comunque mi dava la grande notizia. Ero stata scelta per il secondo colloquio, da tenersi domani. Parlava come un treno, ho dovuto interromperla, per poterle dire che ci ho pensato e ho deciso di non accettare proprio per il contratto a progetto. La signora selezionatrice ci ha tenuto a ricordarmi che un’assunzione a tempo determinato o indeterminato comunque è prevista, in futuro, ma non si sa quando. E però una risposta a tempo indeterminato su questa questione per me era fondamentale. Così la signora selezionatrice mi ha fatto presente che avrei perso il treno. Credeteci o no. Questa è stata la frase che mi ha convinta di avere fatto la scelta giusta, dicendo di no. Ho pensato pazienza, prendo il prossimo.
E questa è stata la fine del mio secondo colloquio.
Sono cose che ti fanno un po’ incazzare, comunque. Sentirsi fare proposte del genere e poi sentirsi trattare come se stessi prendendo a calci chissà quale occasione della vita. Quando l’occasione della vita si traduce nell’ennesimo lavoro in un call center. Ma voi avete presenti quei selezionatori che ai colloquio vi chiedono perché siete interessati proprio a quel lavoro, e il lavoro è un lavoro di merda?
Ecco, io mi devo sempre trattenere dal dire esplicitamente che mi servono soldi perché altrimenti col cavolo che mi sarei presentata al colloquio, tantopiù che sostenere un colloquio di lavoro è sempre una cosa degradante e un po’ umiliante, per una persona disoccupata. Perché non è mai alla pari, il colloquio. C’è sempre una persona che ha il coltello dalla parte del manico e che nonostante abbia messo un annuncio in cui ti ha detto esplicitamente sto cercando qualcuno che lavori per me ti deve per forza trattare come se offrirti quel lavoro sia stata una tua idea, e lei ti sta facendo un enorme favore per cui sarai in debito eternamente e non la potrai mai ripagare abbastanza.
Ecco, io contro questa logica cerco di lottare da anni. Ed è maledettamente complicato ricordarsi della lotta di anni, mentre stai sostenendo il colloquio.
Per oggi mi sa che chiudo perché ho il veleno che mi avanza. Forse domani vi racconto cosa ho scaricato da amazon. Posso solo preannunciarvi che pur sapendo che Dickens ha scritto tanto, nella vita, non avevo idea che il tanto potesse essere quello che sono riuscita a scaricare solo oggi…)
Fate i bravi.
(oh, a proposito. Danno The Untouchables, su Rete4. Mi spiace conoscerlo a memoria, altrimenti me lo rivedrei)
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